Muoversi 4 2021
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LO SFORZO RICHIESTO NON È COMMISURATO AI RISULTATI ATTESI

LO SFORZO RICHIESTO NON È COMMISURATO AI RISULTATI ATTESI

intervista a Marco Stella

Marco Stella

Presidente del Gruppo Componenti ANFIA

Il “Fit for 55” presenta più rischi o
opportunità per la filiera automotive?

L’ulteriore inasprimento dei già sfidanti target di riduzione delle emissioni di CO2 delle auto e veicoli commerciali leggeri nuovi, con un accorciamento delle tempistiche per raggiungerli è un elemento che desta molta preoccupazione in tutta la filiera. Pur riconoscendo la nobiltà degli obiettivi di decarbonizzazione del Green Deal europeo e l’importante ruolo che il nostro settore può giocare in questa partita, riteniamo che ci venga chiesto uno sforzo non commisurabile ai risultati attesi – che, peraltro, si somma a quelli già affrontati negli ultimi 20 anni per l’abbattimento delle emissioni, dettati da esigenti normative europee – destinato a mettere a rischio la salute e la sopravvivenza di un elevato numero di imprese, soprattutto in riferimento alla proposta di estromettere dal mercato, al 2035, la tecnologia dei veicoli con motore a combustione interna. Le nostre riflessioni si concentrano quindi, in questa fase, sul come raggiungere questi target e a quali costi, anche in termini di perdita di competitività globale del tessuto industriale europeo.

Le tecnologie di propulsione che la proposta prevede di bannare al 2035, potrebbero, invece, dare un significativo contributo alla decarbonizzazione attraverso l’utilizzo di carburanti rinnovabili a basso contenuto di carbonio, secondo un approccio basato sulla neutralità tecnologica e quindi su una pluralità di tecnologie anziché su un’univoca scelta tecnologica a favore dell’elettrico

L’accelerazione verso l’elettrico imposta dal “Fit for 55” colpirà soprattutto il settore della componentistica. Solo nella Motor Valley la maggior parte delle imprese sul territorio produce componenti per motori e trasmissioni. Il motore endotermico è dunque destinato a sparire?

Le tecnologie di propulsione che la proposta prevede di bannare al 2035, che sono poi quelle su cui oggi la maggioranza delle aziende dell’automotive italiano – comprese le multinazionali presenti sul nostro territorio – sono concentrate, potrebbero, invece, dare un significativo contributo alla decarbonizzazione attraverso l’utilizzo di carburanti rinnovabili a basso contenuto di carbonio, secondo un approccio basato sulla neutralità tecnologica e quindi su una pluralità di tecnologie anziché su un’univoca scelta tecnologica a favore dell’elettrico. Questo consentirebbe anche di salvaguardare know-how e posti di lavoro, nella Motor Valley e non solo. In Emilia Romagna, per inciso, operano circa 230 aziende della componentistica automotive con 16.500 addetti diretti. Il 77% di queste realtà non supera i cento dipendenti, ma vanta una forte competenza in ambito motorsport e racing. Per questo sarebbe importante, al fine di tener conto delle molteplici specificità della filiera automotive, prevedere dei meccanismi di flessibilità nella transizione. Ad esempio, per i piccoli costruttori italiani, nicchie d’eccellenza che rischiano di essere fortemente penalizzate. L’Emilia Romagna, nel complesso, è la terza regione, dopo Piemonte e Lombardia, per numero di aziende della componentistica automotive, in totale circa 2.200 in Italia.

Confidiamo che il Governo italiano, che sembra ben ricomprendere le istanze delle parti in campo, possa esplicare nelle sedi europee la propria attività di mediazione per ottenere una normativa sì ambiziosa, sotto il profilo degli obiettivi di decarbonizzazione, ma anche giusta ed equilibrata per quanto concerne i potenziali costi sociali connessi alla transizione del settore

Quale può essere l’impatto economico e occupazionale?

Secondo le stime di ANFIA, le aziende della componentistica operanti in Italia che ancora non sono attive nel comparto dell’elettrificazione e che quindi rischiano di sentire maggiormente l’impatto, anche a livello occupazionale, di questa rapida transizione green, sono una percentuale tra il 20 e il 30% del totale (in totale sono circa 2.200 le imprese che producono componenti nel nostro Paese). A livello di numero di addetti, sono a rischio tra le 60.000 e le 70.000 persone.

Il pacchetto interviene su diverse direttive. Quali sono quelle che più vi preoccupano e che andrebbero corrette?

Oltre al Regolamento 2019/631 sugli standard emissivi di auto e veicoli commerciali leggeri, citerei la revisione del sistema di scambio di quote di emissione (Emission Trading System -ETS). Secondo il meccanismo dell’ETS, il carbonio in eccesso prodotto da alcuni settori industriali particolarmente inquinanti (acciaio, cemento, ferro, fertilizzanti, centrali elettriche), a cui la UE ha aggiunto i trasporti e il riscaldamento domestico, dovrà essere sanzionato (50 euro/kg) e questo rischia di determinare un incremento della componente fiscale dei prezzi dei carburanti, peraltro già lievitati negli scorsi mesi, in Italia come in altri Paesi europei, anche a causa del rincaro generalizzato delle materie prime, tra cui il petrolio, e dell’aumento della domanda, in graduale ripresa dalla crisi Covid. Sulla Direttiva DAFI, o prossimo regolamento, più che preoccupazione, l’auspicio che sia coerente con i target imposti alle case auto e sia in grado di vincolare gli Stati membri alla realizzazione di una infrastruttura capillare e distribuita in maniera omogenea nei territori.

Il pacchetto dovrà passare il vaglio di Consiglio e Parlamento europeo prima di diventare vincolante. Avete in programma iniziative specifiche verso le istituzioni europee? Quali spazi di intervento vedete?

Riteniamo indispensabile che le Istituzioni europee e italiane studino un percorso di accompagnamento della filiera automotive alla riconversione produttiva – con particolare riguardo verso la componentistica e le sue PMI – e che rappresentino con determinazione le istanze di uno dei settori più importanti dell’economia italiana ed europea nell’iter legislativo che la proposta seguirà nei prossimi mesi. Tra queste, ci sono anche la messa in campo di una strategia per la transizione energetica e di un piano di sviluppo infrastrutturale – ad oggi, nell’area UE-EFTA-UK, gli investimenti in infrastrutture di ricarica non tengono il passo con l’incremento di mercato dei veicoli elettrici: siamo a circa 340.000 stazioni di ricarica, mentre per raggiungere i target UE sulla decarbonizzazione ne servono 1,3 milioni (pubblici) entro il 2025 e 2,9 milioni entro il 2030.

Confidiamo che il Governo italiano, che sembra ben ricomprendere le istanze delle parti in campo, possa esplicare nelle sedi europee la propria attività di mediazione per ottenere una normativa sì ambiziosa, sotto il profilo degli obiettivi di decarbonizzazione, ma anche giusta ed equilibrata per quanto concerne i potenziali costi sociali connessi alla transizione del settore.